La mia prima settimana a Seoul iniziò ad agosto. Appena atterrata in questa città sconosciuta ero confusa e frastornata per tutto ciò che stavo affrontando. Riuscite a capire cosa intendo se vi confesso che mi sentivo come un’aliena?
Bene, permettetemi di aggiungere un’altra cosa. Sono italiana, trainer e coach con una pluriennale esperienza in programmi di formazione sulle Communication Skills, Cross-Cultural Communication Skills e Change Management. Posso definirmi a tutti gli effetti una persona che suppone di sapere molto bene come affrontare il cambiamento e come approcciare culture diverse; l’ho fatto per tanto tempo, ho letto diversi libri e come coach ho supportato molti manager per più di 15 anni. E allora come è potuto succedere? come ho potuto trovarmi in preda a una tal confusione, persa, incapace di entrare in contatto con questa nuova cultura?
Questo è stato l’inizio. Poi, dopo quello che tecnicamente chiamiamo “shock culturale“, tutte le conoscenze costruite nel corso degli anni mi sono venute in soccorso, come un salvagente in mare aperto quando non si ha più la forza di nuotare e la riva è ancora lontana.
Nonostante la mia esperienza di lavoro mi abbia sicuramente aiutato a interpretare ciò che non mi era familiare dando un senso all’incomprensibile, mi sono resa conto che non è stato sufficiente.
Perché? La risposta è molto semplice: conoscere qualcosa non significa necessariamente saperla “agire”. Ad esempio si può essere molto bravi con la grammatica inglese e allo stesso tempo avere una pessima pronuncia parlata.
Asiatici e occidentali hanno modi di pensare molto differenti ma risultano similmente impacciati quando devono gestire delle differenze culturali così grandi.
Come mai accade ciò? Su questo argomento sono stati scritti molti libri che però spesso si occupano solo di fornire, ad esempio, delle linee guida da seguire durante un soggiorno all’estero oppure dei consigli per concludere affari con gli asiatici (Cina, Giappone e Corea).
A volte invece, anche se non molto spesso a dire il vero, le grandi aziende organizzano programmi di formazione molto efficaci rivolti ai dirigenti che stanno per essere trasferiti all’estero, con l’obiettivo di fornire loro un nuovo insieme di strumenti da utilizzare una volta “atterrati sulla luna“.
Molte altre grandi aziende però, e purtroppo sono la maggior parte, non fanno lo stesso e anzi danno per scontato che se si ha successo come manager o leader nel proprio Paese questo debba necessariamente replicarsi ovunque nel mondo.
Quindi, proviamo a pensare a cosa può accadere nel momento in cui questi dirigenti cominciano rendersi conto che, anche se dotati di una serie di strumenti e strategie cross-culturali, non riescono a raggiungere i risultati attesi. Riuscite a indovinare?
Come ci sentiamo quando siamo circondati da persone, colleghi, partner, dipendenti, clienti che non ci rispondono come pensiamo dovrebbero? Come ci sentiamo quando la gente non rispecchia i nostri pensieri e sentimenti e reagisce in modo inaspettato? Come esseri umani, soprattutto in condizioni di stress, tendiamo a vedere l’altro come troppo diverso da noi e quindi spesso arriviamo alla conclusione che “lavorare con loro è quasi impossibile”.
Il motivo per cui questo accade è semplice: ci adattiamo al nuovo ambiente culturale utilizzando il nostro cervello, le nostre conoscenze, tutte le informazioni di carattere generale che possediamo (quello che in gergo si chiama galateo culturale) dimenticandoci però che possiamo entrare profondamente in contatto con qualcun altro solo se siamo interessati in modo autentico a comprendere la sua mentalità e la terra da cui proviene. E questo è ciò che ci manca quando tentiamo di adattare il nostro comportamento a una nuova cultura e a nuove abitudini.
Una mentalità inter-culturale non si forma solo attraverso suggerimenti e informazioni pronte per l’uso.
Ad esempio possiamo imparare che in Corea, per ottenere la fiducia del cliente, è necessario accettare il suo invito a cena e bere molto. Oppure possiamo sapere che i titoli, così come il fatto di saper comprendere l’età e la gerarchia di un’organizzazione, sono elementi fondamentali da considerare quando ci troviamo ad avere il primo incontro di lavoro con un dirigente coreano. Tutto ciò può esserci utile un po’ come avere del gasolio nel motore e una buona attrezzatura tecnica sulla barca in cui stiamo navigando; ma è sufficiente? Siete sicuri di conoscere la natura e la profondità del mare che state attraversando? Se non proviamo curiosità ed empatia verso l’altro non riusciremo a capire i motivi per cui loro sono così diversi da noi.
Com-passione e altruismo portano ad accettare e tollerare l’altro, favorendo una reale comprensione anzichè un giudizio superficiale. Se davvero desideriamo entrare nello spazio dell’altro, dobbiamo sbarazzarci di tutte le informazioni che abbiamo, di tutti gli stereotipi, le etichette e di tutti i suggerimenti; proviamo invece a fermarci ed ascoltare con reale interesse ciò che l’altro ci sta comunicando e, se non capiamo qualcosa, semplicemente chiedere… la risposta arriverà.
La competenza cross-culturale si acquisisce quando riusciamo a smettere di parlare e iniziamo ad ascoltare, quando ci concentriamo sull’altro invece che su noi stessi, quando riusciamo ad avere consapevolezza di ciò che sta accadendo senza cercare necessariamente di etichettarlo o dargli un nome.
Quindi spegnete il motore e fermatevi a guardare dove vi trovate. Solo così facendo potrete scoprire che tipo di oceano state attraversando.