Il libro non si abbandona facilmente, perché è ben scritto e di lettura piacevole. Ambientato in Svizzera negli anni ’70, per molti appena dietro l’angolo, racconta del rapporto esclusivo e intenso tra due bambini, Nicol e Michele. I due hanno in comune due padri italiani che lavorano, il primo come ingegnere dirigente e il secondo come operaio, nella costruzione del tunnel del Gottardo.
La particolarità è che Michele è un bambino “nascosto” che deve restare invisibile perché le autorità elvetiche non davano la possibilità ai migranti di tenere bambini. Arrivato in Svizzera occultato dentro l’auto la raccomandazione della madre è costante: “Michele, ricordati le regole. Non ridere, non piangere, non fare rumore. Nessuno deve sapere che sei qui. Se non fai il bravo viene a prenderti il poliziotto”.
Così Michele inizia la sua vita clandestina, nell’esiguo spazio di una soffitta, allietato solo dalla apparente burbera Delia, l’affittacamere, che cerca di attenuare la solitudine del piccolo imprigionato.
Alcune testimonianze e qualche cenno storico
Una storia che ricorda una delle pagine più buie dell’emigrazione italiana dove circa 5.000 bambini, negli anni ’70, vissero nascosti. Una realtà raccontata anche nel toccante film del regista e operaio Alvaro Bizzarri (“Lo stagionale”, girato nel 1971) e vissuta dal senatore Claudio Micheloni, che alla fine degli anni ’50, all’età di tre anni e mezzo, dovette rimanere rintanato per due anni in un appartamento di Boudry, nel canton Neuchâtel.
Dal canto suo, Maria Paris, originaria di un villaggio nei pressi di Bergamo, non potrà mai dimenticare il 20 agosto 1946, data del suo viaggio in treno da Milano a Losanna. Arrivati alla stazione di Briga, tutti gli immigranti italiani furono fatti completamente spogliare in due tristi capannoni, dovettero farsi una doccia prima di essere cosparsi di DDT e passare la visita medica. Una donna incinta che rifiutava di svestirsi fu rispedita immediatamente alla frontiera.
Qualche anno dopo, la procedura del “controllo del bestiame” – come la definisce Maria Paris – dovette essere modificata: una ventitreenne italiana che rientrava a Neuchâtel dopo le feste di Natale prese freddo durante la visita medica a Briga e morì due settimane dopo di broncopolmonite.
I bambini che venivano trovati finivano in collegi al confine, aspettando la domenica in cui potevano rivedere per poche ore i genitori.
L’insofferenza di una parte della popolazione svizzera verso gli immigrati sfocia nel 1969 nell’iniziativa contro l’Überfremdung, che prende il nome dal suo promotore Schwarzenbach. Il 20 maggio vengono presentate alla Cancelleria Federale 70.292 firme valide per ottenere un referendum contro l’inforestierimento. Scopo dell’iniziativa era delimitare gli stranieri a un massimo del 10% per Cantone (eccetto Ginevra con il 25%); la riduzione sarebbe dovuta avvenire entro 4 anni. Il 7 giugno, con una partecipazione al voto straordinariamente alta (74,1%), 654.588 svizzeri si pronunciarono contro la proposta mentre 557.714 furono a favore. Un’ulteriore iniziativa, lanciata dall’”Azione Nazionale”, venne respinta nel 1974 a grande maggioranza.
Tornando al romanzo, Nicol – intraprendente e vivace bambina – scopre Michele e con la complicità di Delia ne diventa la migliore amica. La loro relazione si dipana in un crescendo di amicizia e solidarietà, mentre i bambini diventano ragazzi e scoprono il mondo e le sue contraddizioni.
Quando i migranti eravamo noi
L’autrice in un’intervista racconta la genesi di questo libro, di una realtà scoperta – da lei, svizzera – solo dieci anni fa. Una scoperta che è anche una folgorazione e che la porta ad indagare su questa pagina di storia dimenticata. Interessante la contraddizione tra chi vuole allontanare gli stranieri e chi, come la nonna a cui è ispirata la figura di Delia, aiuta concretamente sia i migranti che, nei tempi passati, i dissidenti politici.
Insomma, come sempre, non bisogna fare di ogni erba un fascio.
Dal mio personale punto di vista, che negli anni ’70 avevo già la maggiore età e che vivevo quasi al confine con la Svizzera, confermo l’assoluta ignoranza rispetto a quegli avvenimenti. Segno che, come per Nicoletta Bortolotti, ha funzionato una rimozione collettiva di questi fenomeni, che oggi però ritornano alla luce.
Il tema delle migrazioni è sempre un tema di incontro di diversità, di incroci tra disperazione e paura, tra necessità e chiusura.
Ciascuno porta le proprie ragioni, ma non si trova un tavolo a cui sedersi, raccontarsi, discutere. Spesso le decisioni – come quella di impedire l’accesso ai bambini – sono dovute a una semplificazione che non tiene conto del mondo reale, delle singolarità e delle sofferenze.
Alla fine, l’insegnamento in sintesi, è che siamo stati e forse saremo tutti migranti, se non per necessità economica, per desiderio culturale di confronto con altre realtà e altre culture. Così, conoscendoci un po’ meglio, forse saremo in grado di distinguere le approssimazioni dei gruppi – gli italiani, gli svizzeri, i neri e così via – dalle singolarità che li attraversano.
Per approfondire:
- http://www.raistoria.rai.it/articoli/la-mia-storia-per-esempio-emigranti-vecchi-e-nuovi/14305/default.aspx
- https://www.atistoria.ch/atis/atis25/lemigrazione-italiana13.html
- https://video.corriere.it/quando-clandestini-eravamo-noi-chiusi-casa-senza-poter-giocare-cantare-o-piangere/573fe3ce-15c4-11e5-8c76-9bc6489a309c#