La conferenza tenutasi a Torino “La violenza sulle donne: Aspetti economici e sociali” è stata un’occasione per riflettere sui temi della violenza di genere, alla luce di uno studio specifico che si concentra sull’aspetto economico e finanziario della questione. Una premessa è doverosa: tale prospettiva di analisi non è in contrapposizione ad aspetti o considerazioni di tipo etico, ma è come se la prospettiva economica, supportata da una metodologia scientifica, potesse vivere una vita propria per il solo momento della sua analisi, al fine di comprendere la dimensione della questione, prima di tornare a essere una delle numerose facce del problema.
Lo studio “Quanto costa il silenzio: Indagine dei costi economici e sociali della violenza contro le donne” fu presentato a Roma nel 2013. Il 17 novembre 2017 è stato discusso anche a Torino durante la conferenza prima citata, organizzata a Palazzo Lascaris dall’associazione AS.SO, con il patrocinio del Consiglio Regionale e della Regione Piemonte, e arricchito da differenti interventi, tra cui una responsabile della Polizia di Stato. Il presente articolo in particolare vuole essere un breve sunto della conferenza torinese, per riportare e rilanciare gli spunti di riflessione, e un invito alla lettura del documento che è stato l’argomento principale della discussione*.
Gli interventi iniziali hanno lasciato ben poco ai saluti di rito e si sono subito concentrati sul cuore della questione: quel danno di valore spaventoso, moralmente ed economicamente, deve e può essere ridotto. È un peso che si abbatte sulla donna, sulla famiglia, su tutta la società, ma si può e si deve prevenire in modo attivo. È una questione globale che interessa ciascuna e ciascuno di noi, e che non potrà essere risolta in modo definitivo se non si acquisisce una nuova consapevolezza dei sensi del potere e del dovere nel pubblico e nel privato.
Silvana Zocchi, presidente associazione AS.SO.
La lettura di una striscia di Agnese Moro è lo spunto per commentare la necessità di riflettere su tutti i casi in cui la violenza, anche in senso generale, diventa un “fatto normale”; il riferimento recente è all’aggressione in diretta del giornalista a Ostia. Si deve pensare profondamente alle conseguenze dei casi in cui la banalità della violenza ha il sopravvento e scivola verso la normalità, verso l’accettazione, verso un senso di ribaltamento dei concetti di giusto e sbagliato, anziché verso un riconoscimento preciso del senso del male e del dovere di opporsi senza limitazioni.
Riguardo allo studio economico, il costo gravante sulle vittime e sulla società intera è di 17 miliardi all’anno. È una cifra enorme, che si compone di varie voci: giuridiche, di ordine pubblico, di supporto farmacologico, medico, sociale. Sono in primis i costi gravanti su donna, famiglia, minori, cui poi si sommano quelli cosiddetti indiretti per mancata partecipazione alla vita democratica e alla vita lavorativa.
Dott.ssa Elena Caneva – Coordinatrice Centro Studi We World Onlus Milano, associazione per la promozione dei diritti di donne e minori
La ricerca “Quanto costa il silenzio“ è di qualche anno fa ma ancora del tutto attuale; si tratta di un progetto iniziato nel 2013 con la specificità dell’approccio di quantificazione economica dei fenomeni e sensibilizzazione sui costi per la società nel suo complesso, stimolando quindi sempre di più la reazione al fenomeno della violenza sulle donne. Sono stati considerati, nell’arco di un anno, 14,2 milioni (sic!) di episodi di violenza; di questi si analizzano i costi veri e propri:
- Monetari (costi diretti del sistema, come quelli sanitari) cui sono aggiunti i cosiddetti moltiplicatori economici, per esempio relativi agli istituti previdenziali: i costi sanitari, i mancati giorni di lavoro, il mancato o diminuito rendimento professionale, gli impatti sulla produttività, ecc.
- Non monetari: sono basati sulla sofferenza e sul dolore; pur nella difficoltà della quantificazione, sono stati considerati i relativi moltiplicatori sociali su aspetto vita, relazioni intra ed extra familiari, in particolare i costi della violenza sui minori, che in realtà non sono quantificabili in modo completo, ma solo stimabili, ecc.
Riassumendo, il costo annuale della violenza sulle donne è una cifra da vera e propria emergenza e il dato dei soli costi diretti deve farne una priorità nell’agenda politica. Anche se mai con la rapidità e con l’incisività che sarebbe dovuta, questa consapevolezza inizia a farsi strada. La voce economica non deve essere guardata con sospetto, ma piuttosto come un’opportunità, per un’azione corale sul problema.
Dott.ssa Paola Fuggetta, Sostituta Commissaria Polizia di Stato e Coordinatrice Ufficio Minori di Torino
Il suo intervento è stato preceduto dalla proiezione di un video particolarmente toccante, il cui audio era una raccolta di richieste d’aiuto autentiche pervenute alla questura di Milano. La Dottoressa ha quindi esposto i dettagli del protocollo EVA della Polizia di Stato, che ha uffici specifici su minori e su violenza domestica. L’esperienza nel trattare tali situazioni insegna che la violenza è tipicamente un’escalation di eventi; spetta anche a ognuna e ognuno di noi, in qualità di vicina o vicino di casa, collega, responsabile o datore di lavoro, il dovere di intercettare i segnali. Sappiamo, infatti, che anche nell’ambito estremo del ricovero ospedaliero, la vittima nasconde la violenza subita e protegge l’autore di questa, specie nel contesto familiare. La legge sullo stalking del 2009 ha permesso l’ammonizione amministrativa in alternativa a denuncia-querela. Nella violenza domestica chiunque può segnalare casi con prognosi inferiore ai venti giorni e fenomeni all’inizio della scala di violenza, mentre per lo stalking deve essere la vittima a denunciare. È importante conoscere l’esistenza dell’istituto dell’ammonizione perché l’omertà o la reticenza sono ancora molto forti. Inoltre, nel numero delle donne che riferiscono episodi di violenza, le persone disabili (fisiche e psichiche) hanno minore accesso all’informazione e minori possibilità di reazione; esempio tipico sono le donne sordomute. Si tratta di vere e proprie categorie a rischio. Il Comune di Torino è stato all’avanguardia in proposito; per esempio, in sede di colloqui di prevenzione di tumori al seno a un’analisi attenta si è aperto un mondo di cicatrici – non solo fisiche – frutto di azioni violente.
Dottoressa Paola Castagna, Responsabile Centro Soccorso Violenza Sessuale Presidio Ospedaliero Sant’Anna – AOU Città della Salute e della Scienza di Torino
In Italia centri specifici esistono solo a Milano e a Torino: due sole strutture in tutto il paese. Quella di Torino è nata nel 2003 e comprende principalmente medici legali e psicologi con competenze che si intersecano. La prima riflessione è cosa frena l’estensione ad altre città: sono strutture costose, che necessitano di personale molto preparato e di diverse estrazioni, ma sono strutture sempre più necessarie. Per la vittima di violenza c’è un rischio 5 volte superiore di essere preda di depressione, 26 di suicidio, 4 volte di ulteriore necessità di ricorso al pronto soccorso, come se fosse una spirale che si autoalimenta. In Italia una donna su tre è a rischio, dopo gli incidenti stradali il maltrattamento è la seconda causa di morte (11%). Il compito di questi centri non è quindi esclusivamente medico ma anche di restituire la dignità a queste persone, dato che l’isolamento sociale successivo alla violenza non fa che perpetrarla. La violenza deve quindi entrare a pieno titolo nella diagnosi differenziale delle patologie. In lingua inglese si definisce Windows of opportunity. La preparazione del personale è il vero fattore critico, la capacità essenziale è quella dell’ascolto e del porre le domande giuste al momento giusto.
Dott.ssa Monica Cerutti, Assessora regionale del Piemonte per Pari Opportunità, Diritti Civili, Diritto allo studio, Politiche Giovanili, Immigrazione, Cooperazione e diritti dei consumatori
L’Assessora ha spiegato come e quanto la legge regionale del Piemonte 4-2016 sia importante quale approccio di sistema alle politiche, in concerto con altre leggi come la 11-2008, per le vittime di violenza, e ha illustrato gli obiettivi per la sua piena attuazione. Nello specifico, in Piemonte ci sono 14 centri antiviolenza e 9 case protette; obiettivo del piano di attuazione della legge è proprio il consolidamento della rete di tali presidi e la loro estensione per una copertura più capillare, ma oltre alla presenza territoriale si insisterà su un altro punto strategico quale è la formazione accurata del personale. Obiettivo 2 è la sperimentazione di percorsi sostegno e di reinserimento socio-lavorativo per le vittime di violenza; anche questo è un punto fondamentale in cui l’impegno economico è molto forte. Obiettivo 3 è la lotta alla tratta di esseri umani e contrasto alle mutilazioni genitali femminili. Altri obiettivi sono il sostegno agli operatori e operatrici della formazione e il bando rivolto al trattamento degli autori di violenza. Seguono gli interventi a favore di figli e figlie delle vittime di violenza, e infine l’opera di divulgazione delle possibilità offerte dalla legge. A tal proposito si sottolinea che il sostegno economico è un fattore indispensabile per l’emersione del sommerso e dell’illegale, fino a essere una vera e propria “molla” per il cambiamento. Ultimo tema è il sostegno a una cultura dell’inclusione, dalle scuole alla comunicazione, e la promozione di un linguaggio rispettoso della parità di genere.
Gli interventi sono stati intervallati da due momenti, particolarmente intensi, in cui la brava Nella Rutigliano ha letto passi del libro Mal’Amore No, una raccolta di poesie contro la violenza di particolare intensità.
Questo è un estratto dell’articolo originale apparso su Marea – Marzo 2018 http://www.mareaonline.it/
* Il documento è scaricabile dal sito dell’associazione WeWorld al link: https://www.weworld.it/pubblicazioni/2013/QuantoCostaIlSilenzio_SHORT/files/assets/common/downloads/publication.pdf