Gender bias Genere

“Donne che pensano troppo”: la ruminazione come fenomeno sociale o di genere?

“Donne che pensano troppo”: la ruminazione come fenomeno sociale o di genere?

“Questa mail proprio non ci voleva! A quest’ora poi… devo fermarmi di nuovo oltre le 19 al lavoro…”

“Se non avessi dato così tanta disponibilità all’azienda mi sarei evitata di passare questi venerdì pomeriggio in ufficio…”

“Forse mi dovrei tirare indietro qualche volta… ma così forse mi potrebbero licenziare?”

Questi potrebbero essere tranquillamente ragionamenti di qualsiasi persona che lavora. Questo tipo di “conversazione interiore” appartiene al fenomeno denominato ruminazione. Secondo alcuni studi raccolti nel libro “Donne che pensano troppo” della psicologa americana Susan Nolen-Hoeksema, tale tendenza a ragionamenti complessi e continui è un atteggiamento più frequente nelle donne. La domanda che sorge spontanea quindi è: la ruminazione è un fenomeno sociale o di genere?

La ruminazione solo come fenomeno al femminile?

“Donne che pensano troppo”: la ruminazione come fenomeno sociale o di genere?Dalle ricerche compiute dalla professoressa Nolen-Hoeksema, è stata identificata una correlazione fra la struttura cerebrale femminile e la tendenza alla ruminazione.  Si tratta di un meccanismo che porta a pensare e ripensare in modo incessante e che, nelle sue forme più gravi, può anche condurre a  “loop” di pensieri negativi e autodistruttivi,

Un meccanismo psichico comune a tutte le persone, indipendentemente dal genere, fa sì che il cervello umano immagazzini tutte le informazioni derivanti dalle esperienze fin dalla tenera età. Ciascuna di queste informazioni viene raccolta e catalogata in associazione con delle emozioni, che possono essere positive o negative, in base all’esperienza vissuta. Questa “informazione-evento” immagazzinata nella memoria a lungo termine, formerà un nodo in grado di collegarsi ad altri – già presenti o futuri, così da generare una rete neurale ricca di emozioni.

 La riattivazione di tali nodi avviene quando viviamo le esperienze di tutti i giorni influenzando l’umore e lo stato d’animo delle persone. Nel tempo, questo meccanismo fa sì che tali circuiti neuronali si rafforzino portando le persone ad assumere delle risposte emotive più improntate alla positività o alla negatività.

Il peso degli stereotipi di genere e i doppi standard

Se tali meccanismi, come detto, sono propri delle persone a prescindere dal loro genere, esistono dei fattori connaturati alla nostra società che possono influenzare in maniera diversa donne e uomini. Le prime, in particolare, possono essere più soggette alla ruminazione perché viviamo in una società che, ancora nel 2024, esercita delle importanti pressioni e aspettative di genere sulle donne. Stereotipi e doppi standard, infatti, sono purtroppo molto diffusi: basti pensare alle inopportune insinuazioni che possono sorgere in seguito al raggiungimento di una posizione apicale da parte di una professionista. Un altro esempio sono i diversi modi in cui vengono interpretati alcuni comportamenti, sul lavoro e nel quotidiano, in base al genere di chi li agisce.

Susan Nolen-Hoeksema nel suo testo fa risalire la ruminazione a fattori sociali, culturali e biologici. Le donne possono trovarsi più spesso in contesti che le spingono a cercare il consenso altrui e a prendersi cura delle altre persone, sviluppando una maggiore tendenza all’autocritica, all’autoanalisi e quindi anche alla ruminazione. Un comportamento che, nelle sue declinazioni peggiori, può portare le donne, più degli uomini a fenomeni quali l’autosabotaggio e lo scivolamento in loop mentali nocivi.

Della ruminazione si perisce o guarisce?

Il saggio di Nolen-Hoeksema ha l’indubbio merito di gettare luce su un fenomeno umano e di farlo da una prospettiva di genere. La sua analisi ci aiuta a comprendere come, alla luce di un paradigma bio-psico-sociale, le donne vivano ancora oggi molteplici svantaggi che si ripercuotono sulle loro vite personali e sulle loro carriere.

“Donne che pensano troppo”: la ruminazione come fenomeno sociale o di genere?Non sono una psicologa, né una psicoterapeuta e il mio ambito di lavoro è solo in parte attiguo a quello psicologico; però sono donna e mi sono resa conto di ruminare, anche tanto, in determinate situazioni e soprattutto sul passato.

Spesso mi sono chiesta “se avessi fatto questo anziché quest’altro, sarebbe andata diversamente?”

Leggendo questo libro mi sono data, in qualche modo, la possibilità di “guarire”. Questo non significa evitare totalmente i meccanismi della ruminazione, ma acquisire una consapevolezza tale – anche rispetto agli stereotipi di genere – da comprendere alcune dinamiche e gestirle meglio. Potrei raccontare cosa consigliava l’autrice del libro e come ho applicato su me stessa alcuni dei suoi suggerimenti, ma il messaggio che mi piacerebbe lanciare con questo pezzo è un altro: anzi duplice. Da un lato vorrei promuovere una riflessione interiore a tutte le lettrici e a tutti i lettori, affinché si possa innescare un singolo cambiamento attitudinale che vada a incidere sulla società attuale. Dall’altro, vorrei trasmettere forza e speranza a tutte quelle donne che, per diverse ragioni, rimangono “ingabbiate nella loro testa” e in situazioni nocive.

Per dare speranza che dalla ruminazione si guarisce. Si può lavorare su di sé, sulla propria identità e personalità e cambiare. Cambiare per davvero. Per continuare a pensare e a farlo sentendoci sempre libere.

Come dice una bellissima canzone di Ultimo

“Da quant’è che non sbagli

senza più…

più fartene una colpa?”

(Altrove)

Per concludere, la ruminazione non è una caratteristica innata e immutabile, bensì un tratto che può essere adeguatamente riconosciuto e gestito.

 

 

Autore

Alessia Rustichelli

Classe 1997, laurea in Media Education presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, media educator, consulente pedagogica 2.0 e Instructional Designer presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Professionista esperta nei processi e nei linguaggi di apprendimento, nell’ambito comunicativo (ICT e Web 2.0) e formativo, in relazione a diverse strategie da impiegare con differenti target di riferimento.
A inizio carriera, ha già svolto diverse esperienze professionali: ha supportato la redazione di Rai Ragazzi di Torino come tirocinante, ha svolto la figura di formatrice digitale presso il Comune di Milano come stagista; è stata docente della scuola primaria di primo grado e tutor di supporto a livello didattico per adolescenti presso un istituto privato.
Appassionata di tematiche come le parità di genere, l’inclusività e il benessere della persona; ma anche di sport (corsa e calcio), arte (in particolare l’Impressionismo), cucina e della Walt Disney (area su cui ha realizzato entrambe le sue tesi). Fa parte dell’associazione di volontariato dei Leo Club come semplice socia, svolgendo services di supporto al territorio.
Infine, sognatrice ad occhi aperti, punta a unire le sue passioni alla propria professione. La sua mission? Diffondere la Media Education in Italia.

Scrivi un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Iscriviti alla nostra newsletter

Inserendo la tua email acconsenti all’invio di newsletter sui nuovi articoli e sugli aggiornamenti relativi alle iniziative di Wise Growth