Genere Maschile e femminile

Ripensare il maschile: privilegi, limiti e miti da sfatare

Ripensare il maschile
Scritto da Patrizio Ferrari

Qualche mese fa ho avuto il piacere di partecipare all’evento “Maschi del futuro” di Francesca Cavallo al Teatro Litta di Milano. Cavallo è una scrittrice, editrice e attivista impegnata su diverse tematiche, fra cui anche la lotta agli stereotipi di genere e la parità. Dopo aver pubblicato, anni fa, il bestseller “Storie della buonanotte per bambine ribelli”, ha voluto scrivere una nuova serie di racconti, questa volta pensata per gli uomini di domani. La serata è stata un’occasione preziosa per affrontare un tema a lungo ignorato, anche nell’ambito degli studi di genere: il maschile. Per fortuna, ultimamente, qualcosa sta cambiando e l’argomento sta trovando sempre più spazio sia in ambito pop che in contesti istituzionali e, lentamente, anche nel mondo aziendale.

I temi affrontati durante l’evento convergono con alcune riflessioni che in Wise Growth ci interessano da tempo in modo particolare: l’evoluzione dell’identità maschile, gli effetti del patriarcato sugli uomini (oltre che sulle donne) e l’importanza di costruire alleanze tra generi. Infatti, affrontare il tema della parità di genere senza prendere in considerazione gli uomini, oltre a ignorare una variabile fondamentale dell’equazione, rischia di vanificare l’impegno verso l’equità, riducendo i benefici sia per le une che per gli altri.

Gli uomini nelle favole: eroi senza scelta 

Si potrebbe partire subito da una serie di domande: cos’è il maschile? Chi è un maschio e, soprattutto, quali sono le implicazioni dell’essere uomini oggi?

Possiamo convenire che essere uomini, almeno nel mondo occidentale in cui viviamo, rappresenta un indubbio vantaggio da molti punti di vista. Gli uomini, infatti, hanno potere – lo hanno sempre avuto a differenza delle donne (basti pensare al diritto di voto) – e questo potere porta con sé dei privilegi che consentono loro di non subire particolari limitazioni in quasi nessun ambito di esperienza.

Ma è davvero così?

Da un po’ di tempo a questa parte, il modello tradizionale di mascolinità – quello, potremmo dire, “dell’uomo che non deve chiedere mai” – sta cominciando a mostrare segni di cedimento. Viene quindi da chiedersi se la posizione ricoperta dagli uomini non abbia anche dei risvolti negativi. Spoiler: ce li ha eccome.

Ripensare il maschile: privilegi, limiti e miti da sfatare Proprio le favole sono un ottimo esempio di come un certo tipo di figura maschile ci sia stata tramandata nei decenni. I personaggi maschili mancano spesso di profondità dal punto di vista emotivo. Inoltre, fatto ancora più importante, non viene minimamente data loro la possibilità di scelta: il principe deve portare avanti il regno, il cavaliere deve salvare la donzella in pericolo e l’eroe deve seguire il percorso che è stato deciso per lui. Poco importa se questi personaggi abbiano dei propri desideri, delle aspirazioni o delle attitudini particolari: le loro storie non prevedono che questi aspetti vengano mai presi in considerazione.

Educazione maschile e libertà emotiva: un cortocircuito sociale 

Se ci pensiamo, questo è il tipo di modello maschile che ci è sempre stato presentato: nelle storie della buonanotte, nei cartoni animati, nei film e nelle serie TV. Gli uomini crescono in un contesto sociale che plasma delle regole, più o meno implicite, a cui già da bambini sanno di dover aderire per evitare l’esclusione e che impattano fortemente la loro socializzazione. Ad esempio, si impara fin da piccoli a non mostrare la propria vulnerabilità, a non chiedere aiuto e si cresce in contesti che promuovono la competitività e la dominanza più che la cooperazione e l’empatia.

Gli uomini vengono educati a mostrare alcune parti di sé o a nasconderne altre per paura di essere giudicati e, all’estremo, di perdere il proprio “status di maschio”. Si tratta di un prezzo altissimo da pagare e a farne le spese, infatti, è il proprio sé, limitato nella sua libertà e potenza di esplorazione.

Il risultato di questa vera e propria deprivazione emotiva è un cortocircuito semantico: le caratteristiche che per la società rendono un uomo tale non sono le stesse che favoriscono la massima espressione di una persona. In parole povere, un vero uomo non è (o meglio, non gli viene concesso di essere) un uomo buono.

Spesso nei percorsi che realizziamo nelle aziende (alcuni solo “al maschile”, altri che vedono coinvolti entrambi i generi), invitiamo a pensare alle caratteristiche che dovrebbe avere un vero uomo. Nei gruppi emergono tratti come la forza, la virilità, il senso di responsabilità e la capacità di rimanere saldo “come una roccia” nonostante le difficoltà. Ma anche caratteristiche come l’abilità nel nascondere le proprie emozioni, il non avere bisogno di aiuto o non potersi concedere mai il fallimento. Ma ciò che rende un uomo una brava persona (o un “uomo buono”) è ben diverso: l’empatia, la capacità di ascoltare e fare un passo indietro, la saggezza – per citarne alcune – sembrano scomparire dai radar.

Gli esseri umani provano emozioni, ma cosa succede quando queste emozioni non trovano lo spazio per esprimersi? 

Secondo gli ultimi dati ISTAT disponibili, circa 8 suicidi su 10 in Italia riguardano gli uomini. La nostra società, attraverso le nostre famiglie, i media e i gruppi sociali, ha contribuito a creare un modello di uomo e di virilità con caratteristiche ben precise che tende a soffocare i bisogni degli uomini rendendo al tempo stesso quasi impossibile staccarsene.

Non è un caso che gli uomini entrino nel dibattito pubblico quasi esclusivamente in casi estremi: ad esempio, nel caso dei femminicidi, l’opinione pubblica si mette in moto provando, in maniera il più delle volte goffa e infondata, a dare conto di comportamenti violenti. Ma questo approccio reattivo rischia di affrontare il problema solo quando è troppo tardi, senza mai interrogarsi sulle radici culturali e educative che portano a questi esiti estremi. E se invece provassimo a parlare degli uomini e con gli uomini prima che questi diventino un problema per sé stessi o per la società? 

Francesca Cavallo, su questo tema, offre una provocazione: se ci stiamo dicendo che una fetta consistente della popolazione è in balia di impulsi che non riesce a controllare, allora forse bisogna ripensare a come è strutturata la nostra società. In altre parole, il problema non è il singolo individuo, ma il sistema che lo educa e lo plasma secondo modelli rigidi e non più al passo coi tempi.

Ripensare il maschile: privilegi, limiti e miti da sfatare Occorre invertire la tendenza per cui gli uomini, a un certo punto delle loro vite, smettono di essere in contatto con le proprie emozioni. Bisogna cioè non solo favorire spazi in cui gli uomini possano sentirsi liberi di raccontare i propri vissuti, ma anche rendersi conto che una maggiore emancipazione maschile su questi temi non mina la mascolinità, ma anzi è un vantaggio per gli uomini e per le donne. In altre parole, ridefinire il maschile non significa perderne l’identità, ma ampliarne le possibilità.

La lotta per la parità non è una lotta fra generi

Se si vuole davvero superare i limiti imposti da una visione rigida della mascolinità, bisogna anche riconoscere che il dibattito sulla parità di genere non può e non deve trasformarsi in uno scontro tra uomini e donne. È fondamentale dare voce e spazio di espressione agli uomini affinché possano essere alleati nella strada verso una società più equa, in un percorso di trasformazione collettiva.

I recenti scossoni al mondo della DEI e le dinamiche sempre più polarizzanti veicolate dai social network sono alcuni fattori alla base di una crescente antitesi fra movimenti come femminismo e manopshere1. Questa contrapposizione è però fuorviante: da un lato, il femminismo non nasce per penalizzare gli uomini, ma per promuovere pari diritti; dall’altro, un vero ripensamento della mascolinità non passa attraverso la difesa di modelli antiquati, ma attraverso la costruzione di nuove possibilità per tutte e tutti.

Le resistenze al cambiamento sono comprensibili, soprattutto quando vengono messi in discussione equilibri consolidati. Ma una società più equa non è una minaccia per gli uomini, anzi, libera anche loro da ruoli rigidi, pressioni e stereotipi che li costringono a dimostrare continuamente forza, successo e controllo. Costruire alleanze tra uomini e donne su questi temi è indispensabile perché solo attraverso il dialogo e la collaborazione possiamo mettere le basi per un futuro in cui nessuna persona debba sentirsi vincolata a un ruolo imposto, ma possa esprimere pienamente la propria unicità.

Il ruolo delle aziende: spazi di dialogo e cambiamento

Oggi le aziende sono luoghi fondamentali per diffondere spazi di dialogo e confronto e per promuovere buone pratiche. Sono anni che, come Wise Growth, ci occupiamo anche di percorsi pensati solo per gli uomini, accanto a iniziative che coinvolgono invece entrambi i generi.

Creare spazi di confronto al maschile è importante perché permette l’accesso ad aspetti identitari fondamentali, in passato poco considerati, stimola il confronto costruttivo e prepara il terreno per un dialogo più proficuo anche “tra” i generi in azienda. Con la consapevolezza che superare gli stereotipi e promuovere la parità ha benefici per tutte le persone, sia donne che uomini.

Ripensare il maschile: privilegi, limiti e miti da sfatare

I dati lo confermano, nei contesti (sociali e organizzativi) dove la gender equity è maggiore, gli uomini sono meno soggetti a stress, sono generalmente più in salute, hanno relazioni migliori e possono essere più sereni per la sicurezza fisica ed economica delle donne importanti della loro vita (Perceptions of masculinity & the challenges of opening up, IPSOS, 2019).

Per concludere, lavorare su questi temi è un vantaggio collettivo che migliora la qualità della vita di tutte le persone e può contribuire in modo tangibile allo sviluppo dell’intera società in ottica di sostenibilità umana.

1 La manosphere è un movimento e una rete di comunità online che affrontano temi legati alla condizione maschile, spesso criticate per la diffusione di misoginia.

 

Autore

Patrizio Ferrari

Laurea in Psicologia Clinico-dinamica all’Università degli Studi di Padova e Psicologo iscritto all’Albo della Lombardia. È Communication Consultant in Wise Growth, dove collabora alle strategie di comunicazione e alla gestione dei social media e della rivista online Diversity Management. Partecipa attivamente alla progettazione e alla gestione di percorsi formativi sulle tematiche DEI, orientandosi principalmente sugli ambiti del linguaggio inclusivo e della comunicazione efficace e del ruolo maschile all’interno dei contesti organizzativi.

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