Attualmente, la presenza femminile in azienda, sia in posizioni subordinate che apicali, è decisamente aumentata, ma è bene ricordare come la stessa rappresenti una conquista faticosamente ottenuta a partire dal secondo dopoguerra. Esistono però vasti ambiti del mondo del lavoro in cui le discriminazioni di genere sono ancora frequenti.
Pensiamo alla selezione del personale, all’accesso al lavoro, ai percorsi di carriera e formazione, ai periodi di congedo per maternità. In tali ambiti è importante adottare efficaci misure di contrasto e piani di azioni positive allo scopo di monitorare il rispetto delle norme sulle pari opportunità.
Anche nella professione forense vi sono medesime problematiche.
La femminilizzazione dell’avvocatura è lentamente aumentata dagli inizi degli anni ottanta.
L’Ordine degli Avvocati di Milano che conta circa 22000 iscritti, vede le avvocate in costante crescita annuale e prossime al “pareggio numerico”. Le praticanti sono, addirittura, in numero superiore ai praticanti.
Tuttavia, ancora oggi, alla parità numerica non corrisponde la parità effettiva, né quanto a rappresentanza né quanto a reddito.
Si osserva, dunque, come la questione della differenza di genere non si ponga più in termini quantitativi, ma qualitativi: l’uguaglianza numerica nell’avvocatura non ha analogia con l’uguaglianza effettiva nell’esercizio della professione.
Sia sufficiente il seguente dato: a Milano, solo il 34% delle avvocate risulta socia o titolare di uno studio legale.
Essere titolari di studio implica, di certo, porre in essere un’attività imprenditoriale con problematiche che molte avvocate hanno difficoltà a sostenere.
Siamo in presenza di un’avvocatura femminile che, spesso, si occupa principalmente di diritto di famiglia e minorile e, in ogni caso, di questioni giuridiche riferite a clientela privata.
Tale scelta non appare sempre libera ed autodeterminata, ma spesso condizionata dalla società, dai ritmi di lavoro, da regole e parametri della professione forense che rendono, ancora oggi, non agevole la scelta dell’avvocata in settori giuridici di appannaggio maschile e certamente più remunerativi quali ad esempio la difesa di persone giuridiche ed enti pubblici.
E ciò ha ovviamente ripercussione anche sul reddito.
I dati nazionali, infatti, ci dicono che un’avvocata, indipendentemente da età e ubicazione geografica, percepisce un reddito inferiore alla metà rispetto ad un avvocato: tale sproporzione appare difficilmente giustificabile come scelta di carattere personale.
Analogo ragionamento può essere compiuto con riferimento alla realtà aziendale.
In Italia, il 33% delle donne tra i 25 e i 54 anni non contribuisce al reddito familiare a fronte di un 4% registrato in Europa e di un 22% in Spagna. Ancora più rilevanti dati sulla maternità: circa 800 mila lavoratrici hanno dichiarato di aver perso il posto di lavoro per le dimissioni in bianco che hanno dovuto firmare costrette dai propri datori di lavoro.
Per superare le criticità indicate, dannose a livello personale e antieconomiche sotto il profilo della gestione lavorativa, sono state proposte varie soluzioni, sia di indirizzo politico che di indirizzo normativo.
I principi di indirizzo politico potrebbero essere i seguenti, con riferimento a concetti studiati dalla dottrina sociologica:
- Leggere le differenze di genere all’interno di una visione globale dell’organizzazione
- Valorizzare le differenze tra uomini e donne cercando di analizzarle in modo proficuo
- Agire in un’ottica di sistema, con interventi mirati e strategie di medio lungo periodo
I provvedimenti concreti da attuare per superamento le problematiche potrebbero essere i seguenti:
- Sperimentare modelli organizzativi flessibili e family friendly attraverso la possibilità di lavorare da casa per mezzo di strumenti informatici
- Attuare politiche concrete di diversity management, sviluppando e valorizzando le differenze che producono innovazione e creatività
- Mettere in atto strategie di integrazione sistematica delle differenze di genere: gestione del personale in un’ottica di genere come vantaggio competitivo, oltre che come forma di rispetto per le specifiche esigenze del personale stesso
Pertanto, l’obbiettivo non deve essere più quello di uscire dalla segregazione di genere, oramai raggiunta, ma quello più ambizioso di valorizzare le peculiari capacità e attitudini di ciascun genere per raggiungere l’integrazione paritaria dei due generi nel mondo del lavoro.
Tale integrazione è un insieme di relazioni in cui ognuno deve essere ugualmente rispettato in quanto portatore delle proprie peculiarità lavorative e valorizzato nei propri punti di forza, indipendentemente dal genere.
Solo affiancando le capacità femminili a quelle maschili si potranno produrre le sinergie indispensabili per il progresso economico e sociale del Paese.
Per approfondire, con particolare riguardo alla questione di genere nell’avvocatura:
Ilaria Li Vigni, Avvocate. Sviluppo e affermazione di una professione, Franco Angeli editore, 2013.
Ilaria Li Vigni, Avvocate negli studi associati e Giuriste di Impresa, Franco Angeli editore, 2015.