Donne

La violenza domestica in Europa ed in Italia tra prevenzione e repressione

Scritto da Ilaria Li Vigni
Per la prima volta un sondaggio europeo nel 2016 ha mostrato i reali contorni del fenomeno della violenza domestica nei 28 paesi dell’Unione, stabilendo, a sorpresa, che gli abusi di genere sono più diffusi nel Nord Europa.

Al vertice della classifica, infatti, si trovano Danimarca (52% di donne che raccontano di avere subìto violenza fisica o sessuale dall’età dei 15 anni), Finlandia (47%) e Svezia (46%), a seguire Paesi Bassi (45%), Francia e Gran Bretagna (44%), mentre l’Italia si trova al diciottesimo posto (27%). Percentuali altissime che includono molestie subìte non soltanto da mariti e compagni ma anche da uomini sconosciuti e sul posto di lavoro. Tali percentuali vanno lette, in ogni caso, con il beneficio del dubbio numerico, in quanto i dati potrebbero essere viziati dalla deleteria prassi, in molti paesi europei, tra cui l’Italia di non denunciare la violenza domestica, per paura di ritorsioni o per una forma di sudditanza fisica e psicologica della vittima del reato nei confronti dell’autore.

In media, in Europa una donna su tre dichiara essere stata vittima di tali abusi (33%), quasi 62 milioni di donne, la percentuale scende al 22% e quindi una donna su cinque, se si considera unicamente la violenza domestica.
Dati che devono fare davvero riflettere nella loro drammatica importanza.

L’indagine, condotta dall’Agenzia europea per i diritti fondamentali, ha coinvolto 42mila donne (circa 1500 per ogni Paese) cui è stato chiesto, in forma anonima, di raccontare se nella loro vita abbiano avuto esperienza di stupro, molestie sessuali, violenza fisica, stalking da parte degli uomini con cui sono venute a contatto.

E comunque, solo una donna su dieci ammette di aver denunciato l’episodio alle Forze dell’ordine quando l’autore degli abusi sia stato un partner (13%) o altro uomo (14%).

Numeri inquietanti che, secondo l’Agenzia europea per i diritti fondamentali, devono essere da monito ai Governi per creare politiche strutturali contro la violenza di genere.

L’Italia, quindi, è tra i Paesi europei che riportano meno violenze nei confronti delle donne nonostante il 91% degli italiani sia cosciente che questo sia un problema gravissimo e diffuso. Il 6% delle donne italiane dichiara di avere subìto violenza domestica nei 12 mesi precedenti al sondaggio mentre il 39% delle nostre connazionali dice di comprendere, nella cerchia delle amicizie o familiare, un’amica che subisce un compagno violento.

Certamente un forte aiuto normativo a combattere la violenza domestica è arrivato dalla Convenzione di Istanbul del 2011, ratificata dall’Italia con la Legge 77 del 2013.

L’entrata in vigore della Convenzione di Istanbul ha rappresentato un passo fondamentale nel nostro ordinamento volto a garantire maggiore prevenzione del fenomeno, adeguata protezione delle vittime nonché punizione dei colpevoli.
In particolare, è stata aggravata la cornice edittale di alcuni illeciti penali, tra cui i maltrattamenti in famiglia, inserite aggravanti ad hoc in caso di violenza domestica commessa davanti a minori e implementate le misure che rendono obbligatorio il sostegno da parte dei servizi sociali per le vittime di violenza domestica.

Il lavoro da fare è ancora molto, ma i primi risultati numerici si sono visti, in Italia come nei paesi europei che, ratificando la Convenzione, hanno costruito un sistema penale più severo per reprimere la violenza domestica e per assicurare un’adeguata prevenzione. Chi scrive ritiene che proprio la prevenzione, unita ovviamente ad un corpus normativo in grado di sanzionare severamente il fenomeno, sia la migliore arma contro questa forma di sotterranea violenza di cui sono vittima prevalentemente le donne nel luogo che, di per sé, dovrebbe essere quello più sicuro e protettivo, ovvero la casa.

In particolare, la prevenzione si ha attraverso il potenziamento dei servizi sociali sul territorio che devono avere il duplice compito di prestare assistenza alle vittime di violenza domestica che ne hanno bisogno, ma anche di creare una rete di servizi che, monitorando il territorio, di fatto impediscano l’esasperazione di situazioni di solitudine e degrado.

Ciò, in particolare, nelle grandi città, dove sono proprio la solitudine e l’emarginazione il motore più infido e dannoso della violenza domestica.

I servizi sociali, per funzionare meglio di quanto già facciano e per fornire davvero un’assistenza capillare, hanno bisogno di fondi costanti e non erogati in ritardo: a tal proposito i Comuni si devono sentire particolarmente responsabili in quanto gran parte del bilancio dei servizi è erogato dall’ente locale.

Ben venga, quindi, l’aggravio sanzionatorio, ma solo con una presenza preventiva dello Stato sul territorio possiamo sperare che i drammatici numeri che abbiamo riportato calino anno dopo anno, creando una società più sicura e serena per donne e uomini.

Autore

Ilaria Li Vigni

Avvocata penalista, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Milano e specializzata in diritto penale dell’economia, reati contro la Pubblica Amministrazione, contro la persona e la famiglia. Consigliere dell’Ordine regionale dei Giornalisti. Consulente legale Consolato USA a Milano. Si occupa di tematiche di genere nell’avvocatura, coordinando corsi di formazione in materia di diritto antidiscriminatorio e pari opportunità e leadership presso le Istituzioni Forensi e le Università. Giornalista pubblicista e autrice di saggi.

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