Non bisogna sorprendersi né scandalizzarsi: per molte aziende, anche grandi e con una lunga storia alle spalle, occuparsi in maniera specifica dei propri lavoratori con disabilità (magari centinaia o migliaia di persone) può costituire una novità.
Come molte innovazioni culturali, la nuova attenzione alla disabilità che stiamo riscontrando in questi anni e in questi mesi è caratterizzata da quella sensazione di spiazzamento: “come è possibile non averci pensato prima?”. La disabilità è sempre stata sotto i nostri occhi, visibile nei numeri e nella quotidianità, eppure…
Non bisogna, dicevo, né sorprendersi né scandalizzarsi: l’attenzione culturale e organizzativa a determinate tematiche è ciclica. Ciò significa anche, però, che l’onda va cavalcata saltando sul surf, perché in questo momento sono disponibili le idee, le competenze e le energie per produrre un salto di qualità dalle conseguenze durevoli in tema di disabilità e lavoro.
Giustamente molte imprese oggi hanno fretta di organizzare eventi e corsi sulla disabilità. Alcune iniziano timidamente, altre però vogliono andare subito al “sodo”, lavorando già con gruppi “misti” di persone con disabilità, loro colleghi e loro capi, per produrre cambiamenti. Però ci si accorge molto presto di dover rallentare, non soltanto perché mancano soluzioni prêt-à-porter per la gestione della disabilità in azienda, non soltanto perché smuovere grandi equilibri consolidati è faticoso e forse anche rischioso, ma soprattutto per un aspetto molto importante: la mancanza di conoscenza.
L’azienda sensibile si accorge di non avere il “polso” dei propri contesti organizzativi dal punto di vista del lavoratore con disabilità. Com’è la quotidianità di un lavoratore ipovedente, sordo, o disabile motorio nella nostra azienda? Si scoprono allora, da una parte, situazioni di grande positività tra colleghi, che ogni giorno offrono supporto e aiuto in maniera spontanea e solidale; si scoprono capi sensibili che hanno saputo creare un ambiente inclusivo dove le caratteristiche fisiche e biologiche delle persone non sono una barriera all’inclusione. Dall’altra parte si scoprono però anche situazioni di esclusione sistematica accettata da entrambe le parti: pratiche organizzative non inclusive, dall’organizzazione delle riunioni all’inaccessibilità delle piattaforme informatiche necessarie per lavorare, dalle inadempienze in materia di sicurezza e di adeguamento strutturale alle piccole dinamiche di incomunicabilità tra “me” persona con disabilità e “gli altri”. Anche le soluzioni locali trovate attraverso la solidarietà e l’inventiva dei dipendenti non sono sufficientemente conosciute, tantomeno supportate, dall’azienda.
L’azienda sensibile si accorge, inoltre, di non conoscere i propri lavoratori. Trova carriere “piatte” e omologazione di mansioni, svegliandosi improvvisamente come da un sonno ad occhi aperti su questi temi. Il sordo all’inserimento dati e il cieco al centralino sono stereotipi, certo, ma che a volte corrispondono alla realtà con una fedeltà veramente non comune, dovuta alla cristallizzazione in pratiche organizzative automatiche e alla mancanza di momenti di riflessione critica e di correttivi. In queste mansioni ci sono persone a volte piene di competenze, spesso con alti titoli di studio, a volte con una spinta di sviluppo o addirittura di ambizione, che, con poco, potrebbero essere messe nelle condizioni di dare molto di più all’azienda e, contestualmente, di crescere professionalmente.
Senza conoscenza non si va da nessuna parte.
Questo oggi è vero in particolare nel rapporto tra le aziende e i propri lavoratori con disabilità. Ecco perché spesso si passa velocemente dal desiderio impellente di “fare qualcosa” all’idea di organizzare, molto più semplicemente, occasioni di ascolto per conoscersi meglio. Ecco allora che la formazione diventa non già una “immissione di soluzioni” bensì un dispositivo di mediazione tra l’azienda e i propri lavoratori con disabilità, uno spazio di ascolto dedicato ai lavoratori con disabilità in aule omogenee, strutturato in modo da far emergere la loro esperienza, i loro bisogni, i loro desideri ma anche le soluzioni che hanno trovato o che intravedono percorribili per lavorare in maniera soddisfacente e performante. E restituire alla fine tutto ciò all’azienda (è anche interessante la presenza, nelle aule, di “testimoni privilegiati” – manager o responsabili – che con le proprie orecchie possono ascoltare storie e mondi che non conoscono e che neppure immaginano, pur gestendoli nell’ambito della propria sfera di attività).
Perché, allora, stiamo parlando di “formazione” e non semplicemente un questionario, un sondaggio, un focus group o un “talk show” per ascoltare le storie e le istanze dei lavoratori con disabilità?
Essenzialmente per due motivi.
- Innanzitutto perché, prima di ascoltare i lavoratori su questi temi, è estremamente necessario dare loro un framework corretto: cosa vuol dire disabilità e come la definiscono i documenti internazionali e gli studi più recenti? Cosa vuol dire occuparsene in azienda? Quali stereotipi, pregiudizi, falsi miti dobbiamo conoscere per starne alla larga? Quali dinamiche possono scaturire in un ufficio in cui è presente la disabilità? Che cosa vuol dire chiedere aiuti e ausili? È giusto? Fino a che punto? E qual è il ruolo insostituibile della persona con disabilità nel “farsi supportare” dall’azienda e dai colleghi? Quali livelli e funzioni aziendali tocca la questione della disabilità? E come è possibile occuparsene in maniera sistemica senza frammentare l’approccio in pochi interventi circoscritti, slegati tra loro, che finiscono per essere inefficaci o evanescenti? Non si può dare per scontato che una persona, per il solo fatto di avere una disabilità, imposti correttamente queste questioni, anzi. Bisogna anche dire che l’azienda stessa – cioè le figure che si occupano della formazione, della comunicazione e della gestione delle persone – ha spesso bisogno di fare un ulteriore passo indietro e impostare con precisione questo framework, ancora prima di convocare e ascoltare i dipendenti con disabilità. Ma a parte ciò, si riscontra che una formazione-ascolto che proponga ai partecipanti questo framework contribuisce a impostare correttamente sia il racconto delle esperienze, sia la proposta di eventuali soluzioni all’azienda. Si riduce in questo modo anche il rischio di configurare la questione come conflitto tra “noi disabili” e l’azienda, sebbene a dire la verità normalmente si trovino persone con disabilità che vivono in maniera serena e positiva il proprio rapporto con l’azienda e con il lavoro. Forse, anzi, fin troppo rassegnate?
- Interviene qui il secondo motivo per il quale è importante che sia proprio la formazione il dispositivo attraverso cui l’azienda ascolta e conosce i lavoratori con disabilità. La formazione aiuta a pensare mondi possibili, soluzioni a problemi che non vengono neanche più considerati tali: accompagna le persone a descrivere e riconoscere la propria realtà suscitando percezioni nuove. La formazione porta anche contenuti: tecnologie assistive dai costi contenuti che a volte sono sconosciute alla persona con disabilità, strategie comportamentali che potrebbero facilitare la vita ma che non sono mai state insegnate o fatte conoscere. E poi, progetti aziendali e buone pratiche che sono state sperimentate in altri luoghi e che, all’improvviso, rendono quasi sperabile l’impensabile: davvero potrei partecipare alle riunioni capendo quello che viene detto? Davvero potrei utilizzare in autonomia questo sito web?
Non solo ascolto, quindi. Piuttosto, formazione-ascolto. Le sue finalità non sono soltanto formative, bensì conoscitive e ricognitive della situazione dei lavoratori con disabilità, dei loro bisogni e dei possibili supporti che possono essere messi in atto.
Il programma di queste giornate è strutturato in coerenza con queste finalità, esplorando criticamente cosa voglia dire, per un dipendente con disabilità, “aiutare l’azienda ad aiutarlo”, ascoltando le esperienze e ragionando insieme, esaminando con l’aiuto di esperti esterni non soltanto gli aspetti psicologici e relazionali, ma anche quelli tecnologici, organizzativi ed HR che possono essere (facilmente ed economicamente) messi in atto per includere e rendere più partecipe e produttivo il lavoratore con disabilità.
Provare per credere: la formazione-ascolto per lavoratori con disabilità accende sempre nei partecipanti un grande entusiasmo nel constatare un interesse e una cura dell’azienda nei loro confronti. Spesso inediti. Fa emergere, certo, criticità, ma anche un atteggiamento estremamente positivo verso l’azienda. D’altra parte suscita anche aspettative nei confronti dei bisogni espressi: qualche concreto passo in avanti che porti a un maggior benessere ma soprattutto a una maggiore produttività e valorizzazione di questi lavoratori.