In tempi recenti si è cercato di superare l’espressione “Festa della donna” a favore di “Giornata internazionale della donna”.
L’8 marzo, da sempre, ha visto molti schieramenti. Dalle posizioni più intransigenti: “cosa ci sarà mai da festeggiare?” Al “è giusto ricordare le “battaglie” al femminile. In mezzo ci sono molte sfumature, che vanno dal rimandare la mimosa al mittente ai cortei spesso gioiosi e colorati di donne col desiderio di rimarcare un’appartenenza.
Insomma, un universo di posizioni che riflette il caleidoscopio dei tanti punti di vista delle donne e sulle donne: il loro ruolo, la loro posizione nella società, le loro fatiche e i loro traguardi situati in contesti storici e sociali continuamente in cambiamento.
Chi sono le donne?
Il tema centrale, a mio parere, è che la “categoria donne” è estremamente composita e ed è necessario ed opportuno operare dei distinguo che partono da una domanda: cosa accumuna questa categoria? e cosa, invece, va riconosciuto appartenere ai differenti sotto-sistemi, tra loro spesso in conflitto?
La parte univoca di questi punti di vista è quella della discriminazione. È forse anche da qui che nasce l’esigenza di una giornata dedicata, che accenda un faro su questo problema e spinga a riflettere.
Ci sono però forme di discriminazione differenti, con caratteristiche culturali, geografiche e storiche molto diverse. Inutile fare una ricognizione sul passato che, almeno nel nostro Paese, ha condiviso il pensiero di un’inadeguatezza femminile a ricoprire certi ruoli.
Cosa in realtà mai completamente scomparsa nell’azione sociale quotidiana. Ritrovarsi insieme per sancire il diritto all’autodeterminazione, condividere il desiderio di raggiungere qualsiasi posizione, di combattere le ineguaglianze e gli stereotipi… forse è questo che lega, in un certo senso, tutto l’universo femminile. Ma se si rovescia il punto di vista e si osservano i desideri, allora l’universo si disgrega in una serie di differenze che non è possibile ignorare. È a questo punto che, proprio al segmento del “genere femminile” è necessario applicare coerentemente l’approccio dell’inclusione e del rispetto di qualsiasi sotto-sistema.
Questo significa il superamento di alcune fratture storiche, spesso feroci. Un esempio: le madri e le non madri. Appena si affronta questo argomento si passa da un’osservazione asettica allo schieramento: le madri hanno più “diritti” delle altre, oppure “siamo stufe di sentir parlare di maternità, anche non avere figli è una scelta”. Un altro esempio: le generazioni.
Anche nel segmento femminile, come per tutto l’universo lavorativo, si riscontrano interessi differenti. Le più senior sembrano orientate a mantenere un certo numero di potenzialità, che dal punto di vista dei giovani non possono che essere definite privilegi… e l’elenco potrebbe continuare.
Inclusione e rispetto
Il punto centrale della mia riflessione è profondamente legato al concetto di rispetto: è necessario accettare e rispettare quei comportamenti, desideri e scelte diversi dai propri. Un’ovvietà, per chi si occupa di inclusione, ma che non lo sembra tanto quanto ci si riferisce alle donne. Se guardiamo da vicino le dinamiche di inclusione emerge che le persone sono fisiologicamente portate a sopravvalutare il proprio punto di vista, interpretato come l’unico possibile, e questo accade anche nell’universo femminile.
Sembra una contraddizione e lo è: proprio il gruppo che ha portato le tematiche della diversità al centro dell’attenzione esclude al suo interno chi non è allineata con quel modo di pensare. Allora, senza cercare un ecumenismo impossibile, è necessario comprendere come l’inclusione passi anche dalla messa in comune di interessi e scelte diversi, aprendo una conversazione negoziale sul tema.
Questo vuol dire passare dallo “schieramento” alla riflessione, da ciò che “è giusto”, all’accettazione di comportamenti anche molto distanti dai propri. Un percorso difficile, ma necessario per uscire dalle battaglie – spesso più verbali che sostanziali – che ancora oggi dividono l’universo femminile.
L’8 marzo quindi continua ad avere senso, perché è un simbolo sotto il quale riconoscere che molta strada è stata fatta ma molta altra rimane ancora da fare.
Senza rivestire questa data di troppi significati, ma ritrovando alcuni degli elementi di unità che sono imprescindibili in un percorso di ricerca di libertà.